lunedì 23 marzo 2020

ON STAGE - NICK WATERHOUSE: ETICA ED ESTETICA RHYTHM AND BLUES


NICK WATERHOUSE è etica ed estetica Rhythm and Blues. 
Il crossover di sonorità che il cantante, chitarrista e produttore californiano propina, crudo, sensuale e raffinato, sin dal 2012, trova nell'ultimo album, il quarto (Nick Waterhouse, 2019) definitiva consacrazione.
La vibrante cifra "narrativa" delle undici tracce dell'ultimo lavoro di Whaterhouse riesce infatti a ripercorrere in maniera esaustiva, viscerale, e allo stesso tempo innovativa - per gli arrangiamenti che attingono al jazz, all'early soul, e pure al boogie -, le radici della musica afroamericana.


Nick Waterhouse - Freakout Club - Bologna - 6.11.2019
L'ultima tournée - che ha toccato lo scorso novembre (6) anche Bologna, dove, sul palco del Freakout Club, Nick si è esibito accompagnato da una band di mirabili musicisti - conferma la grinta espressiva delle sue composizioni: infuocato e incessante R&B, beat surf, swing e boogie, atmosfere jazz e sensuale groove soul, accendono un live act che lascia senza fiato e travolge tutti i sensi.




Contatto Nick per una breve intervista. Quella che segue ne è la cronaca.
Nick Waterhouse - Freakout Club - Bologna - 6.11.2019
Blogger: Ho letto che sei cresciuto ascoltando punk e hardcore. Quando è arrivato il Rhythm and Blues?

N.W.: "Punk e Hardcore erano più i generi che ascoltava mio padre. Mio padre poi ascoltava anche molte altre cose oltre all'hardcore quando ero ragazzo, ma tecnicamente sia lui che mia madre avevano in comune la passione per il rhythm and blues. E stato più quello che girava per casa che i dischi che compravo e ascoltavo che probabilmente mi ha influenzato. Quando qualche anno dopo ho iniziato a suonare la chitarra ho, per così' dire, riconosciuto il rhythm and blues come il mio linguaggio."

Nick Waterhouse - Freakout Club - Bologna - 6.11.2019
Blogger: Sei un collezionista maniacale di vinile "old & rare"?

N.W.: "Maniacale...forse! A volte. Da quando ho incominciato a fare dischi e ad andare in tour, i soldi che avrei voluto spendere in dischi li ho utilizzati per cercare di vendere i miei. Strani o  vecchi dischi. Un concetto relativo. Per me è più cercare di trovare qualcosa di nuovo. Qualcosa fatto tanto tempo fa ma che non ho mai ascoltato può essere nuovo per me. Così diventa qualcosa di nuovo, raro, particolare."

Nick Waterhouse - Freakout Club - Bologna - 6.11.2019

Blogger: Il titolo del tuo nuovo album (il quarto) è omonimo. Questa scelta ha un significato particolare?

N.H.: "No, semplicemente è un buon modo per rappresentarmi e mi è sembrato un buon modo per farmi conoscere da chi ancora non mi aveva sentito nominare."


Nick Waterhouse - Freakout Club - Bologna - 6.11.2019

Blogger: Il tuo stile e il tuo modo di vestire è davvero "smart"!

N.W.: "Ti ringrazio. Mi piace restare sharp senza esagerare. Sto solo seguendo la mia strada."






Nick Waterhouse - Freakout Club - Bologna - 6.11.2019

Blogger: I tuoi live sono davvero sorprendenti. Tu e la tua band vi incontrate spesso per provare?

N.W.: "No. Strano a dirsi andiamo in tour senza avere mai provato troppo prima, e questo grazie al livello di esperienza e competenza di ciascun membro della band. Che si assemblano come se fossero i minerali in una sezione trasversale della terra. I nuovi musicisti imparano direttamente suonando, io sono solo il capitano che affronta i cambiamenti mentre navighiamo."

Nick Waterhouse - Freakout Club - Bologna - 6.11.2019





Blogger: Cosa ne pensi di questo rinnovato interesse per il Soul e per l'R&B?






Barry White and The Atlantics
N.W: "Penso sia fantastico e che le persone con le menti aperte abbiamo maggiori possibilità di com prendere la musica senza vederla solamente come un prodotto. Bisogna ricordare che le cose radicate nella Black Music americana (e la sua interazione di influenze) hanno avuto a che fare prima con le comunità di persone e poi con le personalità e le loro idiosincrasie. Curiosamente la pop music come la conosciamo ha le radici nel soul e nel rhythm and blues ma è diventata una sorta di versione rafforzata e calcolata di quello. Direi il modo in cui il materiale più nuovo e i suoi ascoltatori si sono radicati nella tradizione. Il rhythm and blues è sicuramente più crudo di buona parte delle influenze della pop music. Ora tocca noi, da ascoltatori e produttori di musica moderna essere sensibili sia alla struttura da cui proviene sia a come ci esprimeremo in modo contemporaneo e affine ad essa."

On Air: 
Song for Winners Nick Waterhouse https://youtu.be/aoYnDNGgvlY
It's Time - Nick Waterhouse https://youtu.be/dcE-ejpvSig
Dead Room - Nick Waterhouse https://youtu.be/2sWpjeeuzcM
Tracy (all I want is you) - Barry White and The Atlantics https://youtu.be/H5PSyIW9kR4



giovedì 19 marzo 2020

ON STAGE: PHILIPPE MARCADE' E LA SCENA PUNK DI NEW YORK


Il punk, anche nelle sue espressioni più estreme, ha perso ormai da tempo ogni carica eversiva e provocatoria, sdoganato proprio da quel sistema “imposto”, criticato e fronteggiato come antagonista, che lo ha trasformato da movimento di resistenza sociale e (sub)culturale, a semplice genere musicale e fenomeno di costume.

Tuttavia è una delle rare espressioni che continua a conservare una fascinazione difficile da eguagliare. Lo dimostra la massiccia produzione di tributi e approfondimenti di ogni genere (biografie, documentari, libri, mostre), molto spesso, purtroppo, in chiave approssimativa o sensazionalistica, lontana dalla vera essenza del movimento, ma che ci restituisce l’illusione che il “punk non è (sia) morto”.

Punk’s not dead” è la traccia che apre e dà il titolo al primo album (1981) della band inglese The Exploited, ed è anche lo slogan spesso impiegato per significare che l’essenza, antagonista e di rifiuto, che da sempre, trasversalmente, ha caratterizzato il movimento, ne ha ribadito ogni volta i contenuti e i confini, nonostante la complessità delle sue diverse correnti, le contaminazioni, l’approdo a forme di spettacolarizzazione che ne hanno tradito, in alcuni casi, l’autenticità e la forza dissacratoria.



Pretesto e occasione per questa riflessione, l’uscita (non recentissima, a dire il vero, ma passata in sordina) del libro “Oltre l’Avenue D - Un punk a New York - 1972-1982” - Ed. Agenzia X – autore Philippe Marcadè, frontman e voce dei Senders - band punk-blues, eletta dai lettori del New York Press “Miglior gruppo live di New York” -




...amico di Johnny Thunders, Richard Hell e Willy De Ville, anch'essi agitatori di coscienze sul palco del CBGB’S o del Max’s. 

Testimone diretto e “con un buona reputazione” della prima scena punk-rock americana, Marcadè giunge a confermarmi, attraverso il racconto di quei giorni, che tutto ebbe inizio a New York.

The Stooges

Invero, sulla nascita della scena punk, musicale ed estetica, si alternano, nella ricerca di un'origine precisa, teorie e considerazioni fazionistiche: indubitabile, in ogni caso, la seminalità dei New York Dolls, degli Stooges, degli MC5,


The Sonics
così come non possono non definirsi protopunk i suoni sporchi, primitivi e crudi dei Sonics, a metà degli anni Sessanta. Del resto, il rock ha sempre dimostrato di essere un’entità in costante evoluzione, che sperimenta, e attinge dalle esperienze precedenti.





Del resto, il rock ha sempre dimostrato di essere un’entità in costante evoluzione, che sperimenta e attinge dalle esperienze precedenti. Lo ha fatto anche il punk, quando, a metà degli anni ‘70, attraverso band come Ramones, Blondie, Television, gli Heartbreakers di Johnny Thunders, e poi Patti Smith eRichard Hell, prende vita dalla contaminazione tra glam, rock’n'roll, sonorità 60's, surf, garage e rock.

In una New York allo sbando, sporca, violentissima, e sull’orlo di una forte crisi economica, nacque e si sviluppò la prima scintilla di un movimento, che, sebbene non abbia determinato rivoluzioni politiche e sociali, ha mutato, a livello di costume e di attitudine, lo scenario culturale e sub-culturale all’opposizione dell’establishment dell’epoca. 

In mezzo alle rovine dei quartieri e a quelle umane, travolte da droghe e degrado, si sviluppò una contro-cultura che investì diversi ambiti artistici, travolgendo il tessuto sotterraneo di ogni città americana, che ne esemplificò istanze e contenuti.



Basti pensare all'esperienza del “Colab"(Collaborative Projects), collettivo nato nel 1977, che raggruppava personaggi impegnati nelle più svariate forme d'arte, da quella visiva a quella visuale, da quella pittorica a quella scultorea. Portarono l'arte fuori dalle gallerie per mostrarla nelle strade, nei quartieri più problematici, com'era per esempio, ai tempi, la centralissima Times Square. La “scuola” da cui uscirono talenti come Jean-Michel Basquiat o Keith Haring.

Lester Bangs

O ai nuovi linguaggi della critica musicale, che investì e influenzò nettamente stili e linee editoriali. Vedi Lester Bangs in Creem, la rivista rock di Detroit nata dal giro che gravitava attorno al White Panther Party di J. Sinclair, movimento politico rivoluzionario che inneggiava “all’assalto totale alla cultura con ogni mezzo necessario, inclusi rock’n’roll, droga e sesso per strada”, e alla eliminazione del capitalismo come base economica degli USA da attuarsi mediante l’attivismo sociale per l’integrazione razziale e la eliminazione della classe borghese.


Con l’arrivo di Bangs, la rivista assume e si identifica fortemente con i toni delle sue recensioni, cariche di invettiva, disprezzo, fantasia, rabbia e gioia. Insieme a Dave Marsh (caporedattore), Bangs “…scoprì, inventò, alimentò e promosse un’estetica di gioioso sdegno, di amore per il trash e il disprezzo per tutto quello che era pretenzioso”(Greil Marcus nella introduzione a “Detroit Sucks – Guida ragionevole al frastuono più atroce” di Lester Bangs – The Estate of Lester Bangs, 1987); quell’estetica che prese il nome che lo stesso Bangs gli aveva dato – punk - e poi raccontato, descritto e demistificato, tra il 1970 e il 1976, in più di 170 recensioni, 70 servizi speciali, numerose didascalie per le foto.

Legs McNeil
Altro esempio, lo stile fanzinaro adottato in onore al motto “Do it yourself” dalla rivista “Punk-magazine” – a cui lo stesso Bangs, giovanissimo, aveva collaborato -, fondata dal critico musicale Legs McNeil - autore di “Please Kill me” (1996), e della prefazione al libro di Marcadè – e dal fumettista e scrittore underground John Holmstrom, illustratore delle copertine degli album “Rocket in Russia” e “Road to Ruin” dei Ramones, e creatore di personaggi come Bosko e Joe.

La scena punk – musicale e non – di NY trovò proprio in questo magazine il tramite della propria diffusione in tutti gli States: tra il 1976 e il 1979 ne escono 15 numeri; le sue copertine ritraggono le band più rappresentative della scena, quelle che si esibiscono al CBGB’s, allo Zepps, al Max’s; lo stesso Holmstrom definisce la rivista “la versione stampata di The Ramones”. La grafica editoriale è quella del “fumettismo underground”, quella immediata e istintiva delle fanzine (collage di foto e testi); i contenuti e lo stile rimandano ad un giornalismo pop e diretto.

Impossibile non fare riferimento all’estetica punk, ai vestiti (strappati), al taglio dei capelli, ad una moda che era nata per non essere alla moda. Che parte da New York – con Richard Hell e la seminale foto a torso nudo violato dalla scritta “you make me”, usata come copertina dell’album “Blank Generation”-




e ispira Londra, con Vivienne Westwood, Malcom Mclaren e la loro piccola boutique al 430 di King’s Road; dando vita all’iconografia e all’immaginario punk, copiati e imitati a tal punto da essere in seguito trasformati in qualcosa di assolutamente diverso, di elegante e di costoso, in qualcosa che si pose in evidente contrasto con il “do it yoursef”, a cui anche in questo caso il movimento si era ispirato per essere libero dall’eleganza e dall’omologazione. 



DIY ossia “fai da te”! Così Hell dichiarava a proposito: “una cosa che ho cercato di restituire al rock and roll è la consapevolezza che sei tu che inventi te stesso. E’ per questo che ho cambiato nome, che mi sono inventato look, taglio di capelli e tutto il resto. Perché è normale che se inventi te stesso poi ti ami”…“era una cosa che dovevi farti da solo, e con cui esibivi il tuo essere libero dalla proprietà e anche dall’eleganza”.
Lo scenario della New York culla del punk ci appare in evidente contrapposizione a quello della metropoli di oggi, ripulita, omologata, gentrificata, in cui si fa fatica - fatta eccezione per Brooklyn e parte del Queens - a scorgere una identità spontanea e creativa, o per lo meno originale quanto quella riferibile a quegli anni. 
Ma a differenza di quanto si è portati a pensare, il movimento punk che nasce nella Grande Mela non si fa portatore di alcun preciso messaggio politico, vuole solo dichiarare una rottura con il passato, il superamento – in bilico tra ribellismo e nichilismo - di ogni fissità culturale, estetica ed edonistica. Diversamente da quanto si verifica in Inghilterra, dove sicuramente non sono mancati i gruppi, primi tra tutti i Clash, che hanno sentito l'esigenza di veicolare in maniera netta attraverso le loro canzoni messaggi politicamente e socialmente orientati, sia in chiave di contestazione, sia proponendo una soluzione.

Crass
Ma, in prevalenza, il primo punk era essenzialmente l’espressione di un'urgenza generazionale, della volontà di rompere con schemi imposti, rigidi, obsoleti, quindi senza particolari implicazioni ideologiche, soprattutto, come detto, in America. Del resto, il rifiuto di partecipare alla politica era di per sé una dichiarazione politica.

In Italia il movimento attecchì assumendo forme più ideologiche e politiche, di contenuto più orientato alla corrente dell’anarco-punk e dello slogan “DIY” (Do It Yourself), che vide nei Crass la band iniziatrice, e che rappresentò per i punk italiani un messaggio consolatorio dopo la delusione per Rotten e compagni.

Johnny Thunders & The Heartbreakers
Tutti i gruppi più importanti finirono per accasarsi ben presto con le grandi etichette discografiche, trovarono successo e classifiche, dai Blondie, ai Ramones, che tennero fede al loro suono e all'immagine originale, continuando a riproporla uguale nel corso degli anni. Accanto a questi, Willy De Ville, Talking Heads e Television, la stessa Patti Smith, i Dead Boys di Stiv Bators, Wayne/Jane County, Richard Hell e i Voidoids, i Dictators, i Suicide, i Senders. Storia a parte quella di Johnny Thunders, ex New York Dolls, poi negli Heartbreakers, autore del brano manifesto di questa generazione “Born to lose”, che il successo non solo non lo aveva quasi mai visto, ma nemmeno lo prendeva in considerazione.

La disperazione, unita all’ingenuità, alla spontaneità, all’urgenza di vita, e, nel contempo, alla necessità di sopravvivere in situazioni difficili, modellò una generazione unica, e uno stile iconico, quasi immediatamente ripetuto e imitato. 

Ma si trattò di un’esplosione “culturale” sincera, primitiva, che ancora oggi continua a ispirare e a forgiare gli antagonismi sociali ultra-generazionali


PHILIPPE MARCADE' - THE SENDERS - L'INTERVISTA 


Ormai da anni trasferitosi in Italia, Philippe Marcadè accetta di raccontarmi la scena punk-rock newyorkese, già, in buona parte, descritta nel suo libro.
Presente alla prima esibizione dei Ramones, ed “esotico" interlocutore di una affascinata Debbie Harry, che incontra per la prima volta al CBGB’s, Marcadè ci introduce, alla perfezione, al clima di quei giorni. 



Quando arrivai a New York, nel 1975, la scena punk era ancora qualcosa di molto piccolo, sotterraneo. Prima che l'intera scena passasse al Max's e al CBGB's e diventasse molto popolare, accadeva tutto in un club molto piccolo, il “Mother's”, in 23rd Street. I Ramones esistevano già, così come i Blondie, gli Heartbreakers e pochi altri, ma quasi nessuno li conosceva. Le case discografiche non sapevano ancora nulla di queste band e non avevano ancora rovinato tutto con i loro soldi e la loro commercializzazione. Tutto sarebbe cambiato nel giro di due anni. Ma nel 75 erano ancora solo un gruppo di pazzi che suonavano per alcuni amici. Quello che sembravano avere in comune era un vero odio per tutte le pretenziose band hippy prog con i capelli lunghi che ascoltavi alla radio in quei giorni: nomi come Yes o Emerson, Lake & Palmer e tutti questi gruppi di "virtuosi" con i loro tipici assoli di batteria da venti minuti, opere rock e tutta quella merda. Fu una vera ribellione contro il noioso rock commerciale dei primi anni Settanta, ed era tutto ancora molto, molto sotterraneo.” 


Il titolo del libro trae spunto dal nome di una delle strade che compongono Alphabet Street, uno dei quartieri di Manhattan, nell’east Village di una New York degradata e oscura, ma già profondamente cool, dove tutto ebbe inizio. “Nel 75, New York stava attraversando la sua peggiore crisi economica ed era in rovina. Nel Lower East Side, interi block erano in gran parte demoliti, gli edifici abbandonati. Ed era anche molto pericoloso. Ci fu una massiccia diffusione di eroina e il crimine dilagava. La cosa buona era che si poteva trovare un appartamento per meno di duecento dollari al mese. Naturalmente, questo tipo di degrado urbano era un terreno perfetto per il Punk Rock. I Ramones e i Blondie vivevano nel Bowery, dove si trovava anche il CBGB. Era davvero brutto, lì, con topi, scarafaggi e ubriachi senzatetto ovunque sui marciapiedi. Alphabet-City, dove viveva la maggior parte di noi (nel Lower East Side), era particolarmente pericolosa. Un tempo c'era questa piccola poesia che tutti quelli che vivevano la conoscevano. Avenue A, you're Alright, Avenue B, you're Brave, Avenue C, you're Crazy, Avenue D, you're Dead!

Doctor Feelgood

Marcadè mi conferma che il punk-rock non è esploso con il primo album dei Ramones o il primo concerto dei Sex Pistols, ma era già in nuce da tempo. Peraltro aggiunge un particolare spesso trascurato o, in qualche modo, come gli piace evidenziare, accuratamente nascosto: “La maggior parte dei punk rocker che ostentavano la loro attitudine "anti-hippy" erano essi stessi hippy qualche anno prima, anche se molti erano piuttosto imbarazzati ad ammetterlo. Il punk era solo un'evoluzione naturale o "Devoluzione", si potrebbe dire! Già nel 1969 gli Stooges hanno piantato il seme del Punk Rock, riportando la semplicità e la ferocia che il rock aveva perso nel ‘67 con la grande ondata psichedelica, il “Sergente Pepper” e tutto il resto. I New York Dolls fecero un ulteriore passo in avanti riportando la formula della "canzone di tre minuti" e, nel 1974, Doctor Feelgood e l'intera scena del Pub Rock in Inghilterra, aprirono le porte al Punk Rock. Il Punk Rock ha riportato il divertimento e la rabbia adolescenziale che era stata persa nella musica rock dalla metà degli anni sessanta. Confronta "Love Me" di The Phantom o "The Swag" di Link Wray (entrambi dal 1958) con qualsiasi cosa di The Cramps, Ramones o Suicide e sicuramente troverai una relazione diretta e un'atmosfera simile”.

Allo stesso modo Philippe corregge un altro falso mito o comunque una posizione spesso richiamata a sproposito se riferita al punk delle origini: “Il lato politico del Punk Rock era più una cosa britannica (Clash, Sex Pistols, Crass, ecc.). A New York, dove tutto ebbe inizio, non si parlò mai di politica. Il messaggio era più "Non ce ne frega un cazzo" che "Vogliamo salvare il mondo". Resta inteso che, a parte Johnny Ramone, che era un un fuori di testa di destra, tutti questi punk rocker new-yorkesi erano anti-sistema, anti-autorità, anti-polizia e tutti, semplicemente, non sen-tivano nessuna necessità di specificarlo e rompere le palle a qualcuno con queste co-se. Era molto più divertente cantare della colla da sniffare! (“Now I wanna sniff some glue” è un brano dal primo album dei Ramones del 76) In Inghilterra, (i Crass erano un'evidente eccezione), penso che le tendenze politiche del Punk Rock purtrop-po siano diventate in alcuni casi un po' una contraddizione, a volte una sorta di "po-sizione ipocrita". Come puoi dire di essere anticapitalista mentre hai appena firma-to un lucroso contratto con una casa discografica che è una società multimiliona-ria?! O stai da una parte o dall'altra o stai zitto!



Quando gli chiedo di Thunders mi dice: “Johnny era così talentuoso, carismatico e figo che, ovviamente, senza l'uso di droghe e gli eccessi di ogni tipo, avrebbe potuto avere molto più successo. Ma successo in cosa ?! Più "ricco e famoso"? Certamente, ma sarebbe stato un fallimento nell'essere un vero eroe ribelle del Rock & Roll che si rifiutava di scendere a compromessi. Se avesse esaurito il tutto e accettato di diventare un artista mainstream, allora sarebbe stato un "perdente"? In un certo senso, penso di si. Come Gene Vincent o Syd Barrett, Johnny è riuscito a diventare "The Real Deal", non una versione annacquata.”.

Marcadè è un protagonista diretto, un “sopravvissuto”, un “uscito vivo”, da quella stagione pazzesca e alla domanda se è ancora in contatto con qualcuno del periodo mi risponde amaramente “Purtroppo sono tutti morti!”.

Link Wray
Si congeda dalla nostra chiacchierata con una lunga lista di brani da ascoltare durante la lettura del suo libro; ne estrapolo alcuni per una ideale playing-list.: The Swag - Link Wray Trash - The New York Dolls, She Does It Right - Doctor Feelgood, Judy Is A Punk - The Ramones, Human Fly - The Cramps, Cheree – Suicide, Venus Of Avenue D - Mink Deville, Chinese Rocks - The Heartbreakers, Blank Generation - Richard Hell & The Voidoids, Denis – Blondie, No More Foolin' Me - The Senders, You Really Piss Me Off - The Senders, All Kindsa Girls - The Real Kids, You Can't Put Your Arms Around A Memory - Johnny Thunders, (I Can Get No) Satisfaction – Devo, Garbageman - The Cramps, People Who Died - Jim Carroll, Return To Sender - Elvis Presley

On Air: 
The Swag - Link Wray https://youtu.be/EcKB4NQZPG4
Blank Generation -The Heartbreakers https://youtu.be/kP9uZGCgfbw 
Punk's Not Dead - The Exploited https://youtu.be/FZLBmqFiGjY
I Wanna Be Your Dog - The Stooges https://youtu.be/3gsWt7ey6bo
Have Love Will Travel - The Sonics https://youtu.be/20S_kwNb4rg





martedì 17 marzo 2020

ON STAGE: DOM MARIANI - EPIGONO GARAGE




DOM MARIANI è un messo del garage-rock.









Già precursore della scena garage-psichedelica australiana, è ancora oggi prolifico e incessante protagonista di quella internazionale. 





Cantante, chitarrista e produttore, lo troviamo sin dai primi anni '80 sui palchi di tutto il mondo con le sue numerose band, tra cui The Stems, The Someloves, DM3, Datura4, The Majestic Kelp e The Domnicks.



L'attuale focus creativo e produttivo di Dom Mariani è legato al progetto artistico dei Datura4. 

Dopo l'ottimo riscontro a "Blessed Is The Boogie", è in uscita, il prossimo 17 aprile, il quarto album della burning boogie band, "West Coast Highway Cosmic", di cui è già udibile in rete un assaggio attraverso i brani "You Be The Fool" e "You're The Only One" - files in calce -; elegante concentrato di sonorità dirty blues e rock&roll, a suggestiva restituzione immaginifica - nelle intenzioni della band - delle assolate e solitarie highways della Southwest Coast australiana. 


Contatto Dom per un'intervista. Quella che segue ne è la cronaca.




Electric Prunes
Blogger: Da dove viene il tuo amore per la musica e la cultura degli anni '60?


D.M.: "Facciamo spesso una battuta io e i miei compagni della band. Quando qualcuno ti chiede “che tipo di musica ti piace?” la mia risposta è “Mi piacciono entrambi i tipi di musica, anni '60 e '70” Sono cresciuto ascoltando le migliori 40 stazioni radio che suonavano la migliore musica di allora. Potevi sentire i Beatles, i Rolling Stones, gli Animals, i Dusty Springfield, gli Zombies...così tanti grandi gruppi e artisti. Sono state quelle incredibili canzoni di quel periodo che hanno formato la mia passione per quella musica che amo ancora oggi. Non è un caso che tutto sia uscito dagli anni '60 e '70. Gli anni '60 e '70 hanno visto un'esplosione di arte, musica, moda, design e attitudini che non vedremo mai più, e tanto di quel periodo rimane senza tempo. I Beatles, per esempio, sono ancora molto apprezzati oggi allo stesso modo che negli anni '60. La cosa eccitante per me è stata scoprire tutta la grande musica underground di cui non ero a conoscenza fino a quando non ho scoperto, nei primi anni '80, la compilation “Nuggets”. Ho potuto conoscere i Count Five. Ed è stato come sbloccare un tesoro d'oro e gioielli. E' stato quando gli Electric Prunes sono diventati una delle mie band preferite."
Died Pretty 


Blogger: La scena australiana degli anni 80 è stata una delle migliori di sempre. Ci sono ancora buone band che ci puoi consigliare al momento?
D.M.: "Sono d'accordo, c'era una scena molto bella qui negli anni '80, un periodo d'oro per il rock underground australiano. Died Pretty, Lime Spiders, New Christs e Sunnyboys solo per citarne alcuni.

Tame Impala 
...Band attuali? Mi piacciono i King Gizzard and the Wizzard Lizard, hanno pubblicato diversi album e sperimentano sempre. Mi piace il loro approccio e l'intera estetica. I Tame Impala e i Pond sono fantastici. Ed Keupper (The Saints) sta facendo grandi cose con la sua band, gli Aints. I Tame Impala sono diventati grandi a livello internazionale. Anche se preferisco i loro primi dischi. C'è una produzione pop più pulita nei nuovi lavori, ma hanno sempre il dono di Kevin Parker per le grandi melodie. Mi ha molto colpito la band spagnola Guadalupe Plata quando li ho visti suonare a Madrid qualche mese fa. Anche Les Grys-Grys sono fantastici."

King Gizzard and the Wizzard Lizzard
Blogger: Come si spiega il rinnovato interesse per molte band degli anni '80?

D.M.: "Non è diverso da quanto accadde con la musica degli anni '50, '60 o '70. Una volta che la polvere e l'hype si sono stabilizzati, puoi tornare indietro e rivalutare le cose e avere una migliore prospettiva di ciò che una band o un artista stavano facendo. Potrebbe essere nostalgico oppure rappresentare l’occasione per valutare la bontà o meno di una produzione. Molte delle band e degli artisti di quel periodo degli anni '80 che stavano facendo grandi cose non hanno mai avuto il giusto riconoscimento ma hanno spianato la strada a quello che sarebbe successo negli anni '90. C'era un grande rock and roll in giro ma che non è mai stato riconosciuto dal mainstream."



Blogger: Che tipo di musica ascolti di solito?
D.M.: "Dipende dal mio umore: dai vecchi dischi jazz e blues, soul, pop, country, punk ... heavy rock."


Blogger: Non molti sanno che sei un designer e hai un’impresa, la Dom Mariani Designs

D.M.: "È vero. Ho studiato disegno architettonico e lavorato per un paio d'anni prima di preparare le valigie per le luci della grande città. Ci sono tornato dopo lo scioglimento degli Stems lavorando per diversi architetti e compagnie, mentre portavo avanti i miei progetti musicali. Avevo un po' di bocche da sfamare e i conti da pagare. Ora ho una mia attività che mi permette di occuparmi anche di musica se gli orari lo consentono. Funziona bene la maggior parte delle volte."



Blogger: Hai recentemente fatto un tour in Australia con gli Stems e i Radio Birdman continuando a suonare con la "vecchia" band. Qualche piano futuro?


D.M: "Gli Stems sono tornati a essere più attivi negli ultimi 6 o 7 anni. È stato sorprendente e insieme soddisfacente essere ancora apprezzati e c’è interesse a vederci suonare: è fantastico e ogni anno sembra crescere. Chi l'avrebbe mai detto? Quando ci separammo le cose iniziarono a diventare molto più facili. Ora, a seconda della loro disponibilità, possiamo contare su due grandi chitarristi, Davey Lane (You Am I) e Ash Naylor (Even, Paul Kelly e ora con i Church). La band suona sempre meglio e come non mai. Come se avesse una nuova prospettiva di vita. Speriamo di tornare di nuovo in tournée entro la fine dell'anno e si parla anche di registrare."


Datura4

Blogger: Parlaci dei Datura4? Il nuovo album uscirà per il prossimo aprile!

D.M.: "I Datura4 sono l'obiettivo principale in questo periodo. Il nuovo album “West Coast Highway Cosmic” è il nostro quarto lavoro. Abbiamo iniziato intorno al 2009 e firmato per l'etichetta americana Alive Records e pubblicato il nostro primo album “Demon Blues” nel 2015. Il secondo album “Hairy Mountain” è uscito nel 2016 e “Blessed is the Boogie” nel 2019. La band è formata da me, alla voce e chitarra, Warren Hall, alla batteria, Stu Loasby, al basso, e Bob Patient alle tastiere. Abbiamo suonato in Italia, in Francia e in Spagna lo scorso ottobre. È sempre complesso descrivere cosa facciamo o suoniamo, ma dire che sperimentiamo con l’hard rock, il blues, il boogie e i suoni psichedelici può rendere l'idea."

On Air: 
Grooviest Girl In Town -The Stems - https://youtu.be/KPueDWlqdZs
1 Time, 2 Times Devasted  - DM3 - https://youtu.be/hCNLndPb2iA
You Be The Fool - DATURA4 https://youtu.be/uXA16V97uhA
You're The Only One - DATURA4 - https://youtu.be/0c-fRS1_t8U
Make You Mine - The STEMS - https://youtu.be/0bO17dSN5lU

sabato 25 gennaio 2020

Yussef Dayes Trio - live at Locomotiv Club, Bologna

C’erano una volta – almeno tre anni or sono - i Yussef Kaamal, compagine di musicisti gravitanti attorno al geniale duo inglese Yussef Dayes – batterista - e kamaal Williams – polistrumentista conosciuto anche come Henry Wu -, che irruppero sulla scena del nu jazz con una miscela sonora di jazz-funk anni ‘70 che univa l’impeto del jazz più (bee) bop alla “tradizione” del grime e dell’elettronica inglese – cui il duo, per evidenti ragioni anagrafiche, aveva attinto a piene mani.
Il loro primo album – “Black Focus” – era stato prodotto da Gilles Peterson, nel catalogo della sua label personale, la Brownswood.

Il progetto del duo poi si conclude.


Ieri sera al Locomotiv di Bologna – che si conferma ancora una volta un club congeniale a questo tipo di live, per acustica, illuminazione, capienza e raggiungibilità -, nell’ambito della rassegna “Murato!”- organizzata da Unhipe Records, con la collaborazione di Radio Città del Capo – ho assistito al concerto del trio di Yussef Dayes – con il tastierista Charlie Stacey e il bassista Rocco Palladino, (due giovani manici devo dire) -.


Immensi, si, immensi!

Dal palco, ancora una volta, l’impetuosa e “perfetta” contaminazione tra jazz (spiritual e funk) trip-hop, house, e dub - a ricordarmi – per follia, trasgressione, ed esaltazione - le atmosfere e le sonorità della Sun Ra Arkestra e degli Art Ensemble of Chicago.
Colpiscono e provocano le “lunghe” e improvvise pause ritmiche che connotano efficacemente la struttura dei brani, poichè irrompono e scatenano la virtuosa ed estenuante successiva concatenazione tra batteria e basso, tra la ritmica e la modulazione aerea e cosmica della tastiera.


On air: Yesterday Princess (Yussef Dayes Trio) https://youtu.be/JT0Y4Bl6d9o

venerdì 24 gennaio 2020

"Momentum" il nuovo album dei Calibro 35 per RecordKicks - intervista a Tommaso Colliva produttore e "regista" della band

L’ultimo album dei Calibro 35 è bellissimo.
La cifra sonora di una delle band che ha meglio interpretato la fascinazione per le atmosfere cinematiche di certa produzione filmografica e musicale italiana tipica degli anni ’70, supera con il nuovo album i confini della reinterpretazione e i limiti della tributazione che ne hanno caratterizzato i precedenti prodotti, connotando il tessuto - e l’intento – comunque immaginifico delle proprie composizioni di elegante e matura impressione musicale.

Il gruppo, composto da vere e proprie eccellenze della musica pop-rock contemporanea italiana, ha saputo nel tempo evolvere in uno stile che, inizialmente derivativo, si è poi connotato di un profilo assolutamente personale e riconoscibile.


Il nuovo album lo conferma in maniera definitiva, in virtù di una miscela esplosiva che attinge dal jazz, dal funk, e poi dal soul, dal rock, ma che si serve anche dell’hip-hop, del rap, dalla dub, e dall’elettronica (con gli strumenti rigorosamente sempre suonati), che restituisce atmosfere “spooky”, noir, hard-boiled, ma retro-futuriste e dal respiro ormai internazionale e di spessore artistico del tutto innovativo.


Tommaso Colliva, produttore e “regista” della band ha risposto ad alcune mie domande.
Blogger: Vivete realtà (spesso) artisticamente separate e sempre piuttosto impegnative. Quanto tempo riservate ai Calibro 35 e come conciliate il presumibile poco tempo a disposizione per prove, incisioni e per la composizione?

Tommaso C.: Pochissimo tempo dedicato a Calibro ma cerchiamo di concentrarlo il più possibile. Forse proprio perche' ci sono io, le "prove" sono un concetto abbastanza sconosciuto in casa C35, tutto viene registrato perché potrebbe essere qualcosa di bello da usare. E tante cose bellissime sono nate proprio da quello che per altri sarebbero state "prove", ma le nostre sono state documentate



Blogger: “Momentum” è il prequel di quello che ascolterai nei prossimi dieci anni dai Calibro 35”. E' una dichiarazione di intenti o avete già in mente un progetto preciso in tal senso?
Tommaso C: Metà e metà: dichiarazione d'intenti di sicuro e di "progetti futuri" ne abbiamo pieni cassetti, solo che ancora non sappiamo quali realizzeremo.


Blogger: Il nuovo album assimila molta strumentazione elettronica ma come è d'uso nella nuova scena nu jazz inglese è tutto suonato live…
Tommaso C.: Tutto nasce da una domanda: come puoi unire le possibilità sonore che abbiamo oggi ad un approccio abbastanza radicale di musica suonata? Come puoi essere classico ma non "retro"? Questa e' la nostra temporanea soluzione.


Blogger: In “Momentum” avete la collaborazione/feat. di alcuni ospiti.
Tommaso C.: Ci siamo resi conto che potevamo chiudere/finire alcuni pezzi che avevamo da soli, ma che evolverli per avere qualcuno che ci rappasse sopra era forse piu' interessante e questo si e' deciso di fare. Illa J da un lato dell'oceano e MEI dall'altro ci hanno dato un'egregia mano...

Blogger: A volte basta il titolo di un brano strumentale per dire più di tante parole. “One nation under a format” (cit. Funkadelic) che chiude l'album a mio parere rappresenta un commento sociale molto pungente.
Tommaso C.: Hahahah si. Quel titolo unisce egregiamente le due inspirazioni maggiori di questo disco:
1- fare un disco che fosse Calibro ma piu' influenzato dal GROOVE, senza aver paura di ripetere le stesse 8 battute due volte
2- evitare la standardizzazione che c'e' nel mondo (e nella musica) attuale. E il titolo infatti l'ho bellamente rubato da una frase di un’essay di Zadie Smith (perdono!) che tratta di questi argomenti.

Blogger: Siete uno dei rari gruppi di respiro e attenzione “internazionali” che ha prodotto negli ultimi tempi l'Italia. Ulteriori progetti rivolti all'estero?
Tommaso C: Costanti e copiosi anche se guardare a tanti territori è davvero intenso. Al momento abbiamo un altro tour in programmazione per aprile in Europa: Francia, Inghilterra, Svizzera e qualcosa in Germania.Quando capiremo come clonarci faremo di piu'.

Ormai prossimi - a febbraio - i live dei Calibro 35 (Bologna. Padova, Milano e Roma): imperdibili!

On air: Stan Lee (feat. Illa J) - Calibro 35 https://youtu.be/UXmYJ7zJXx4