sabato 25 gennaio 2020

Yussef Dayes Trio - live at Locomotiv Club, Bologna

C’erano una volta – almeno tre anni or sono - i Yussef Kaamal, compagine di musicisti gravitanti attorno al geniale duo inglese Yussef Dayes – batterista - e kamaal Williams – polistrumentista conosciuto anche come Henry Wu -, che irruppero sulla scena del nu jazz con una miscela sonora di jazz-funk anni ‘70 che univa l’impeto del jazz più (bee) bop alla “tradizione” del grime e dell’elettronica inglese – cui il duo, per evidenti ragioni anagrafiche, aveva attinto a piene mani.
Il loro primo album – “Black Focus” – era stato prodotto da Gilles Peterson, nel catalogo della sua label personale, la Brownswood.

Il progetto del duo poi si conclude.


Ieri sera al Locomotiv di Bologna – che si conferma ancora una volta un club congeniale a questo tipo di live, per acustica, illuminazione, capienza e raggiungibilità -, nell’ambito della rassegna “Murato!”- organizzata da Unhipe Records, con la collaborazione di Radio Città del Capo – ho assistito al concerto del trio di Yussef Dayes – con il tastierista Charlie Stacey e il bassista Rocco Palladino, (due giovani manici devo dire) -.


Immensi, si, immensi!

Dal palco, ancora una volta, l’impetuosa e “perfetta” contaminazione tra jazz (spiritual e funk) trip-hop, house, e dub - a ricordarmi – per follia, trasgressione, ed esaltazione - le atmosfere e le sonorità della Sun Ra Arkestra e degli Art Ensemble of Chicago.
Colpiscono e provocano le “lunghe” e improvvise pause ritmiche che connotano efficacemente la struttura dei brani, poichè irrompono e scatenano la virtuosa ed estenuante successiva concatenazione tra batteria e basso, tra la ritmica e la modulazione aerea e cosmica della tastiera.


On air: Yesterday Princess (Yussef Dayes Trio) https://youtu.be/JT0Y4Bl6d9o

venerdì 24 gennaio 2020

"Momentum" il nuovo album dei Calibro 35 per RecordKicks - intervista a Tommaso Colliva produttore e "regista" della band

L’ultimo album dei Calibro 35 è bellissimo.
La cifra sonora di una delle band che ha meglio interpretato la fascinazione per le atmosfere cinematiche di certa produzione filmografica e musicale italiana tipica degli anni ’70, supera con il nuovo album i confini della reinterpretazione e i limiti della tributazione che ne hanno caratterizzato i precedenti prodotti, connotando il tessuto - e l’intento – comunque immaginifico delle proprie composizioni di elegante e matura impressione musicale.

Il gruppo, composto da vere e proprie eccellenze della musica pop-rock contemporanea italiana, ha saputo nel tempo evolvere in uno stile che, inizialmente derivativo, si è poi connotato di un profilo assolutamente personale e riconoscibile.


Il nuovo album lo conferma in maniera definitiva, in virtù di una miscela esplosiva che attinge dal jazz, dal funk, e poi dal soul, dal rock, ma che si serve anche dell’hip-hop, del rap, dalla dub, e dall’elettronica (con gli strumenti rigorosamente sempre suonati), che restituisce atmosfere “spooky”, noir, hard-boiled, ma retro-futuriste e dal respiro ormai internazionale e di spessore artistico del tutto innovativo.


Tommaso Colliva, produttore e “regista” della band ha risposto ad alcune mie domande.
Blogger: Vivete realtà (spesso) artisticamente separate e sempre piuttosto impegnative. Quanto tempo riservate ai Calibro 35 e come conciliate il presumibile poco tempo a disposizione per prove, incisioni e per la composizione?

Tommaso C.: Pochissimo tempo dedicato a Calibro ma cerchiamo di concentrarlo il più possibile. Forse proprio perche' ci sono io, le "prove" sono un concetto abbastanza sconosciuto in casa C35, tutto viene registrato perché potrebbe essere qualcosa di bello da usare. E tante cose bellissime sono nate proprio da quello che per altri sarebbero state "prove", ma le nostre sono state documentate



Blogger: “Momentum” è il prequel di quello che ascolterai nei prossimi dieci anni dai Calibro 35”. E' una dichiarazione di intenti o avete già in mente un progetto preciso in tal senso?
Tommaso C: Metà e metà: dichiarazione d'intenti di sicuro e di "progetti futuri" ne abbiamo pieni cassetti, solo che ancora non sappiamo quali realizzeremo.


Blogger: Il nuovo album assimila molta strumentazione elettronica ma come è d'uso nella nuova scena nu jazz inglese è tutto suonato live…
Tommaso C.: Tutto nasce da una domanda: come puoi unire le possibilità sonore che abbiamo oggi ad un approccio abbastanza radicale di musica suonata? Come puoi essere classico ma non "retro"? Questa e' la nostra temporanea soluzione.


Blogger: In “Momentum” avete la collaborazione/feat. di alcuni ospiti.
Tommaso C.: Ci siamo resi conto che potevamo chiudere/finire alcuni pezzi che avevamo da soli, ma che evolverli per avere qualcuno che ci rappasse sopra era forse piu' interessante e questo si e' deciso di fare. Illa J da un lato dell'oceano e MEI dall'altro ci hanno dato un'egregia mano...

Blogger: A volte basta il titolo di un brano strumentale per dire più di tante parole. “One nation under a format” (cit. Funkadelic) che chiude l'album a mio parere rappresenta un commento sociale molto pungente.
Tommaso C.: Hahahah si. Quel titolo unisce egregiamente le due inspirazioni maggiori di questo disco:
1- fare un disco che fosse Calibro ma piu' influenzato dal GROOVE, senza aver paura di ripetere le stesse 8 battute due volte
2- evitare la standardizzazione che c'e' nel mondo (e nella musica) attuale. E il titolo infatti l'ho bellamente rubato da una frase di un’essay di Zadie Smith (perdono!) che tratta di questi argomenti.

Blogger: Siete uno dei rari gruppi di respiro e attenzione “internazionali” che ha prodotto negli ultimi tempi l'Italia. Ulteriori progetti rivolti all'estero?
Tommaso C: Costanti e copiosi anche se guardare a tanti territori è davvero intenso. Al momento abbiamo un altro tour in programmazione per aprile in Europa: Francia, Inghilterra, Svizzera e qualcosa in Germania.Quando capiremo come clonarci faremo di piu'.

Ormai prossimi - a febbraio - i live dei Calibro 35 (Bologna. Padova, Milano e Roma): imperdibili!

On air: Stan Lee (feat. Illa J) - Calibro 35 https://youtu.be/UXmYJ7zJXx4

martedì 14 gennaio 2020

HANGING AROUND - ANTONIO LOPEZ: DRAWINGS AND PHOTOGRAPHS - GALLERIA CARLA SOZZANI, MILANO, FINO AL 13 APRILE 2020

Reduce dal dancefloor del Mod Alldayer alla cave del Ligera, domenica mattina, in una Milano soleggiata e dal clima inaspettatamente mite (“visti i giorni precedenti”, come mi precisa telefonicamente la Queen Clelia), raggiungo, al n. 10 della centralissima Corso Como, la Galleria Carla Sozzani, una delle strutture espositive italiane che più amo, per l’attenzione e la ricerca monografica che l'omonima fondazione indirizza ormai da anni verso la più significativa produzione fotografica internazionale legata alla moda, al design e all’architettura.

Contestualizzano le esposizioni ospitate nelle bianche sale della struttura milanese un bookshop fornitissimo e il concept store (al piano terra) - accurato tempio della moda d'avanguardia dalla scenografia space age, di recente omologa apertura anche a New York, vicino al ponte di Brooklyn -.



Antonio Lopez è stato un illustratore: secondo il New York Times – con il quale aveva collaborato come free lance il più importante illustratore di moda.






Da Puerto Rico – dove nasce nel 1943 – Lopez arriva bambino nella New York degli anni ‘50, al seguito dei genitori, che lo sosterranno in ogni modo nell’approfondimento della sua passione per l'immagine e il mondo della moda. 
Studia infatti al Fashion Institute of Technology (FIT) di NY. 







Già durante la formazione inizia a lavorare al Women’s Wear Daily; da qui è un susseguirsi di collaborazioni con le maggiori riviste di moda e non – Vogue, Harper’s Bazaar, Elle, Interview, il New York Times -.





Negli anni 70’ si trasferisce a Parigi, dove collabora con Karl Lagerfeld (inedita – ai miei occhi - e intima la rappresentazione dello stilista francese negli scatti e nelle riprese di Lopez che lo ritraggono agli inizi della sua carriera e ne mettono in luce una fisicità elegante ma allo stesso tempo fortemente “caparbia”),






diventa amico di Jerry Hall (bellissima e maliziosa nelle immagini dell’amico), e di Jessica Lange.








Il percorso espositivo della mostra, diviso per sezioni temporali e tematiche, si svolge attraverso (oltre) duecento disegni originali, provini Kodak, sequenze fotografiche, collage, diari e film(ini).












In mostra anche il film “Antonio Lopez 1970: Sex, Fashion & Disco” di James Crump: mirabile documento – già vincitore di numerosi premi - sulla vita dell’illustratore, con interviste ai “comprimari” del suo mondo, dove la vita e l’arte si sovrappongono fino a confondersi. 












Tutto il materiale esposto testimonia una visione unica e irriverente di bellezza, sensualità, sessualità, opulento sensazionalismo e stile, e l’urgenza “narrativa” e di vita di un illustratore che diviene il reporter di uno spaccato culturale e sociale - quello degli anni ‘70 e ’80 - in cui tutto risultava nuovo e geniale, in cui tutto appariva possibile; ma il cui realismo, invero già mal celato nelle stesse immagini di Lopez, irromperà solo successivamente, spezzando vite creative e infrangendo sogni di libertà.

On Air: Heart Of Glass - Blondie https://youtu.be/WGU_4-5RaxU

martedì 7 gennaio 2020

IGGY POP A BERLINO - LE IMMAGINI DI ESTHER FRIEDMAN E IL RACCONTO DI MANUEL AGNELLI



Il trentennale della caduta del Muro ha avuto il pregio non solo di richiamare l’attenzione sulla sostanza geo-politica di un evento, che, al netto delle propagande, si spoglia delle retoriche della “global democracy” o della superiorità dei valori occidentali, ma altresì sulla fascinazione e influenza che Berlino, luogo di confine – non solo territoriale - e di libertà, ha esercitato sulla produzione culturale di una generazione di artisti che va dalla fine degli anni ’70 fino alla riunificazione delle “due germanie”.

Su tutte conserva intatta la sua importanza l’esperienza discografica di Iggy Pop e David Bowie riferibile agli anni in cui i due vissero a Berlino, tra il 1976 al 1978 - condividendo gli spazi di un appartamento localizzato al numero 155 di Hauptstrasse, in un quartiere periferico della città decadente e fascinosa -, quale risultato di un sodalizio artistico e creativo che si rivelerà fondamentale e seminale per la storia del rock e per l’immaginario di una (contro)cultura che ne trasse ispirazione e contenuto.
Gli anni berlinesi di Iggy Pop – in fuga dagli esiti di una esistenza ormai del tutto estrema e autodistruttiva, al seguito di David Bowie, che riesce a “trascinarlo” con sé durante il tour di “Station to Station”, nel 1976 – trovano suggestiva e intima testimonianza negli scatti di Ester Friedman, fotografa tedesca, che nel 1977 avvia una relazione sentimentale con l’istrionico ex-Stooges, che sono esposti sino all’8 dicembre alla ONO arte contemporanea – galleria fotografica di Bologna (via Santa Margherita, 10), in occasione della mostra “IGGY POP The Passenger: Fotografie di Esther Friedman”.


Il percorso per immagini –25 foto, per lo più in bianco e nero, e un documento visivo sullo scenario urbano della Berlino Est e Ovest – ci restituisce le atmosfere di una città cupa e rarefatta, che fa da sfondo - e occasione - alla rinascita esistenziale e creativa dei due “Dum Dum Boys” – già titolo (autoreferenziale) di una delle tracce dell’album “The Idiot” di Iggy Pop (1977), di cui David Bowie è produttore e arrangiatore-.



Esther coglie un Iggy trentenne, dallo sguardo febbrile, dal fisico asciutto, dall’espressività marcata che connota, provocatoria e urgente, il suo volto; e l’irripetibilità e la tensione dello scambio creativo tra due personalità artistiche di diversificata ma pari genialità.


Immagini, quelle della mostra, che restituiscono una Berlino plumbea, struggente, nelle sue prospettive urbane prive di fasto, nella sua architettura che parla delle contraddizioni di un luogo di frontiera.


Friedman, in occasione di una intervista rilasciatami nei giorni scorsi, mi riporta l’energia, le emozioni e gli antefatti di quanto documentato: “Ero innamorata, Iggy era semplicemente meraviglioso; tutto in quei giorni sembrava possibile: sentivo che c’era qualcosa di unico nell’aria di quel loft berlinese”. 

SO 36

Sono mesi eccitanti: i due girano per locali – tra tutti lo storico centro sociale “SO36”, aperto nel 1976, divenuto poi Club e considerato il punto di riferimento della scena punk-rock di Berlino -, ascoltano musica, 

e, soprattutto compongono capolavori come “Heroes”, “Low” e “Lodger” (David Bowie), “The Idiot” e “Lust for life” (Iggy).
Non a caso Bowie in “Lodger” inserisce “Red money”, cover di “Sister midnight” di Iggy in “Lust for life”, a ulteriore testimonianza di un'unicità del periodo e del loro sodalizio berlinese.

Allo stesso modo le copertine di “Lust for life” e “Heroes” mostrano i due protagonisti in pose molto simili, entrambe ispirate al quadro “Roquairol” di Erich Heckel (pittore impressionista tedesco dei primi del Novecento, considerato dal nazismo “artista degenerato”), in un concept grafico del tutto omologo. 

L’approccio creativo e musicale dei due non si connota del punk o della new-wave, ne capta le vibrazioni e le sollecitazioni, le traduce in un sound nuovo, personale, unico, che deve molto al kraut-rock, e che è distante e più raffinato rispetto alle sonorità “grezze”, crude e urgenti del punk. 

Iggy e Bowie assorbono la cultura berlinese, visitano musei, leggono, si rifanno alle avanguardie artistiche del primo Novecento, ad opere cinematografiche, alla cultura pop, nella sua più larga accezione, creando un precedente sonoro-culturale irripetibile e irripetuto.


Nonostante l’unicità di quel periodo, mi rivela ancora Esther, l'interesse per quelle sue foto è emerso solo in tempi recenti: “Non avrei mai pensato che ci sarebbe stato così tanto interesse, fino al 2013, quando l'editore di Zeit Magazin lo venne a sapere. Era così sbalordito che ha messo Iggy sulla copertina del giornale e abbiamo vinto il Lead Award in Gold per la migliore serie di ritratti dell'anno. Quindi l'apprezzamento anche da parte della galleria Ono per questo lavoro mi rende molto felice”.

Manuel Agnelli, protagonista del documentario “Berlino Est Ovest”, attualmente in onda su SkyArte, a firma della regista Enza Negroni (prod. Sonne Film ed Edenrock,), mi conferma il valore unico della produzione discografica di Iggy Pop e David Bowie riferibile agli anni del loro lungo soggiorno berlinese. Manuel raggiunge Berlino alla fine degli anni 80’: “C’era in me una forte fascinazione verso Berlino nata prima Punk e che quindi aveva incluso anche Iggy Pop e David Bowie che lì avevano realizzato i dischi più belli e interessanti della loro carriera. Sembrava che Berlino “battezzasse” a quei tempi dischi di un certo tipo”. Proseguendo nel racconto della sua prima esperienza berlinese, Manuel non fa che sostenere la rappresentazione di una città – quale chiaramente desumibile dalle immagini della mostra bolognese -, che in quel periodo è in grado di accogliere e sollecitare ogni tipo di sperimentazione, assurgendo a luogo ideale per ogni avanguardia, culturale e sociale.

Prima di arrivare a Berlino, a fine anni 80, tutti noi, di una certa generazione, ci eravamo già arrivati con la fantasia, con la testa. Berlino era una sorta di Eden per la musica, ma non solo. Noi la pensavamo, e per un po’ lo era stata, una zona franco, anche a livello sociale, dove potevi essere quello che volevi. C’erano in quel periodo un sacco di esperimenti di autogestione, centri sociali, case occupate. Del resto Berlino non era la città ambita dalla gente “normale”: era una città problematica, ma a noi piaceva questa cosa! Avevamo tutti un pò sottovalutato il fatto che Berlino fosse in qualche modo la vetrina dell’occidente, al quale conveniva l’esistenza di un posto così, divertente, ma allo stesso tempo pericoloso e quindi affascinante, che però, in realtà, era il risultato di una situazione artificiale. In condizioni normali una Berlino così non sarebbe mai esistita. Noi invece la consideravamo come la realizzazione dei sogni del Punk: di una società alternativa possibile, di un modo alternativo di vivere, anche nei rapporti personali; e questa cosa ci attirava prima ancora della scena musicale. Berlino è stata quindi per me più un punto di arrivo che di partenza. E’ stato il compimento dei miei sogni, e ripeto, non solo artistici, ma di vita, di vita sociale”.

A distanza di anni non si affievolisce l’interesse verso una vicenda esistenziale e artistica capace di stigmatizzare nella storia del rock il respiro e le energie di una Berlino che, in quel periodo, è in grado di accogliere e sintetizzare realtà antitetiche e contrapposte, e di restituire impulsi creativi e culturali che si alimentarono di quella tensione, di quella frizione e di quell’allarme, dando vita ad una stagione estetico-culturale irripetibile.


ON AIR: Lust For Life - Iggy Pop https://youtu.be/HuBU3pzy7is